Siamo abituati a utilizzare il termine “agnostico”, in contesti diversi dalla medicina, ma negli ultimi anni questa parola viene pronunciata frequentemente anche in ambito oncologico.
Sempre più spesso, infatti, si sente parlare di trattamento agnostico dei tumori. Di cosa si tratta? Secondo la definizione dei National Institutes of Health statunitensi, è “un tipo di terapia che utilizza farmaci o altre sostanze per trattare il cancro in base alle sue caratteristiche genetiche e molecolari, senza tener conto del tipo di tumore o della sua origine nell'organismo. La terapia diagnostica dei tumori utilizza lo stesso farmaco per trattare tutti i tipi di tumore che presentano la mutazione genetica (cambiamento) o il biomarcatore che viene preso di mira dal farmaco”1.
Anche se potrebbe sembrare solo un nuovo modo di trattare i tumori, l’idea di una oncologia basata su trattamenti agnostici rappresenta una vera e propria rivoluzione in un mondo nel quale ogni terapia veniva studiata e approvata per uno specifico tumore, in base all’organo da cui la malattia prendeva origine. Gli oncologi sono abituati infatti ad avere a disposizione terapie per il tumore del seno, per quello del colonretto, per quello del polmone, ecc. E, anche se un farmaco approvato per una determinata indicazione può essere in seguito approvato anche per un'altra, rimane sempre l’indicazione legata all’organo in cui il tumore è presente, in cui ha avuto inizio.
Con l’evoluzione dell’oncologia molecolare, e in particolare con i trattamenti agnostici, questo approccio è destinato a cambiare completamente. Dopo decenni di cure basate esclusivamente su chirurgia, radioterapia e chemioterapia, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, l’oncologia ha cominciato a compiere i primi passi verso un approccio molecolare. L’identificazione di una espressione aumentata della molecola HER-2 nel tumore del seno ha permesso di sviluppare i primi farmaci mirati, ai quali ne sono seguiti molti altri grazie alla scoperta e caratterizzazione di numerosi bersagli molecolari2.
Il sequenziamento del genoma umano nel 2001 e il continuo miglioramento delle tecniche di sequenziamento di DNA e RNA hanno rappresentato una seconda svolta nell’oncologia, complicando notevolmente lo scenario, ma aprendo anche la strada a numerose nuove possibilità di cura2.
In particolare, il 2017 segna una tappa importante per le terapie agnostiche: in quell’anno infatti è stato approvato per la prima volta un trattamento con indicazione agnostica. Solo per i più curiosi dei dettagli molecolari, la terapia è stata approvata per i tumori che presentavano deficienza dei meccanismi di riparazione del DNA chiamati mismatch repair (MMR) o con la cosiddetta instabilità dei microsatelliti particolarmente elevata2.
Non è semplice modificare un approccio consolidato nel tempo, ma sono molti gli esperti che sostengono le terapie agnostiche in oncologia e ne descrivono i potenziali vantaggi. Alcuni propongono addirittura di modificare il modo di chiamare e classificare i tumori, passando da una classificazione basata sull’organo a una basata sulle caratteristiche molecolari della malattia3. Non più, quindi, tumore del seno o tumore della prostata, ma tumore BRAF mutato, tumore con difetti MMR, ecc.
“Le nostre conoscenze del panorama genomico a livello di DNA tra i vari tumori sono abbastanza mature per supportare questo cambiamento” ha recentemente dichiarato Fabrice André, Presidente Eletto della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), parlando proprio dell’approccio agnostico nella ricerca clinica4.
Questo approccio potrebbe facilitare l’accesso a studi clinici (e di conseguenza all’uso di nuovi trattamenti) anche a quei pazienti che, per esempio, hanno un tumore raro in un determinato organo che però presenta una mutazione già identificata in altri tumori. Basandosi sull’organo di origine, il tempo necessario per raccogliere un numero sufficiente di casi di quello specifico tumore raro potrebbe essere estremamente lungo, mentre sarebbe molto più breve se nello stesso studio fossero inclusi tumori con origine diversa ma con la stessa alterazione molecolare3.
Inoltre, una nuova classificazione dei tumori basata sulle loro caratteristiche molecolari sarebbe in linea con gli sforzi compiuti dai ricercatori di tutti il mondo negli ultimi decenni per identificare i meccanismi molecolari e cellulari alla base dello sviluppo della malattia, della sua progressione e della resistenza ai trattamenti3.
Perché il passaggio a un’oncologia mutazionale e agnostica sia possibile è necessario riorganizzare l’intero “sistema cancro” e numerose società scientifiche si stanno muovendo proprio in questa direzione.
L’Associazione Italiana di Oncologia Medica ha pubblicato qualche anno fa le “Raccomandazioni 2020 sui Farmaci Agnostici”5, mentre è datata 2024 la pubblicazione da parte della Società Europea di Oncologia Medica dell’ESMO Tumour-Agnostic Classifier and Screener (ETAC-S), uno strumento per valutare il potenziale agnostico delle terapie a bersaglio molecolare e per orientare lo sviluppo dei nuovi farmaci6,7.
In questo contesto deve però anche cambiare la figura dell’oncologo che oggi deve anche essere formato su aspetti legati alla biologia molecolare della malattia e deve cambiare l’organizzazione degli ospedali e la valutazione dei singoli casi. In molti centri è già presente oggi il Tumour Molecular Board, un gruppo formato da diversi specialisti (oncologi, genetisti, biologi, patologi, ecc) che valuta i singoli casi a 360 gradi, tenendo conto non solo delle caratteristiche cliniche classiche e delle preferenze e condizioni del paziente, ma anche di tutti gli aspetti molecolari3.
E il paziente? “È importante che i pazienti siano educati in questa nuova era della cura del cancro e imparino a percepire il loro tumore in base al suo meccanismo molecolare” ha detto André. Secondo l’esperto questo approccio può aiutare il paziente a capire perché sta ricevendo un trattamento piuttosto che un altro e a sentirsi più coinvolto nella ricerca clinica4.