La decisione di avere un bambino è una delle più importanti che una donna possa compiere. Dal momento che l’artrite psoriasica può manifestarsi anche durante l’età fertile, è normale che ci si pongano molte domande: la malattia o i farmaci che assumiamo possono influenzare la fertilità, la gravidanza, il parto e la salute del nascituro? D’altro canto, la gravidanza e il parto possono influire sull’artrite psoriasica e sul suo andamento? Dopo il parto la malattia e i sintomi articolari concedono alle donne le forze necessarie all’accudimento del piccolo? C’è un solo modo per fugare questi dubbi: parlarne chiaramente con il reumatologo e il ginecologo.
In linea generale le linee guida mostrano come non esistano specifiche controindicazioni alla gravidanza per le donne con artrite psoriasica. Anche uno studio pubblicato da Clinical Rheumatology nel 2019 è arrivato a questa conclusione: ha mostrato infatti che il rischio di conseguenze avverse nelle donne con artrite psoriasica è simile a quello osservato in quelle in buone condizioni di salute. Non solo: la ricerca ha chiarito che le pazienti non hanno una prevalenza più elevata di infertilità rispetto al gruppo di controllo, misurata sulla base della frequenza nel ricorso alla procreazione medicalmente assistita. Nessuna preoccupazione nemmeno per quel che concerne il rischio di trasmettere la patologia: se è vero che esiste una componente genetica nelle malattie autoinfiammatorie come l’artrite psoriasica, è importante ricordare che nella maggioranza dei casi i figli di donne con patologie di questo tipo sono sani.
Tuttavia la decisione di diventare mamme va presa con attenzione, partendo da un principio: la gravidanza va pianificata. Il motivo sta nel fatto che, pur senza doversi preoccupare eccessivamente, la malattia può comunque avere un qualche impatto sulla gravidanza e viceversa.
Lo studio citato ha mostrato l’assenza di differenze sostanziali tra pazienti e donne sane circa il numero di gravidanze andate a buon fine, indipendentemente dalla terapia seguita dalle pazienti. Eppure è stato dimostrato che le donne con un’attività di malattia bassa prima del concepimento hanno maggiori chance di gravidanze con esito favorevole: una valida ragione, quindi, per pianificare la gravidanza in una fase di remissione.
La pianificazione della gravidanza dovrebbe considerare anche una valutazione circa i farmaci che è possibile assumere in sicurezza durante la gravidanza, eventualmente individuando con il medico le migliori alternative a quelli meno sicuri.
Lo studio citato ha mostrato l’assenza di differenze sostanziali tra pazienti e donne sane circa il numero di complicazioni legate al parto, indipendentemente dalla terapia seguita. Tuttavia qualche valutazione va comunque fatta. Ad esempio se l’artrite psoriasica interessa la schiena o i fianchi la paziente potrebbe sperimentare maggiore dolore nel corso della gravidanza e soprattutto durante il parto naturale: in questo senso sarà importante il ruolo dell’ostetrica. Inoltre in presenza di questi disturbi potrebbe ostacolare l’uso dell’epidurale: in questo caso è bene parlarne con il ginecologo in modo che anche l’anestesista sia preparato.
La patologia, con il dolore, la rigidità e la stanchezza che causa, potrebbe dar luogo a qualche disagio nei primi mesi di vita del piccolo: anche se la malattia è ben controllata, la neomamme possono sentirsi particolarmente stanche. Quanto all’allattamento, non ci sono prove che l’artrite psoriasica riduca la produzione di latte. Tuttavia alcuni farmaci possono passare nel latte materno, ma dal momento che tantissimi sono sicuri è importante individuare quelli giusti con il medico. Sarebbe infatti un peccato rinunciare all’allattamento al seno in assenza di oggettivi pericoli.
La percezione di malattia durante la gestazione sembra mostrare una tendenza al miglioramento: sempre secondo lo stesso studio, infatti, il 58 per cento delle pazienti ha mostrato una funzionalità articolare soddisfacente nel corso della gravidanza. In pratica, la patologia troverebbe giovamento dalla gravidanza. La ragione? Gli studiosi ritengono che possa essere ricercata nelle variazioni ormonali e immunologiche nel corso dei nove mesi. Per questo motivo, se i farmaci assunti al momento del concepimento controllano adeguatamente l’attività di malattia, il reumatologo probabilmente consigliare di non interromperli a patto che non siano controindicati in gravidanza.
Esiste la possibilità che subito dopo il parto la neomamma vada incontro a un peggioramento della malattia: lo studio ha rilevato che ciò avviene nel 40 per cento delle gravidanze. La ragione di questo fenomeno non è nota, tuttavia in previsione di questa eventualità è ancora una volta importante ricordare l’importanza della pianificazione della gravidanza. Proprio nel puerperio è infatti importante che la donna possa contare su una buona rete di supporto (compagno, parenti, amici e professionisti) già disponibile e pronta prima del parto. In ogni caso in presenza di un peggioramento dei sintomi è bene contattare immediatamente il reumatologo così da impostare eventuali modifiche alla terapia in tempo utile a prevenire conseguenza articolari importanti.
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