Uno studio pubblicato ad agosto 2024 ha aggiunto un tassello in più alla comprensione delle cause e dell’origine della psoriasi. Si tratta di una ricerca internazionale condotta da studiosi dall’Università di Bath (Regno Unito) e pubblicata da Nature Communications che ipotizza il ruolo di un ormone, l’epcidina, alla base dell’insorgenza della patologia cutanea.
L’epcidina è una sostanza prodotta dal fegato che controlla la quantità di ferro assorbita dagli alimenti e rilasciata all’organismo: in pratica ne regola il riciclo e dunque il suo equilibrio nel corpo. Più nello specifico, regola l’assorbimento di questo prezioso minerale a livello dell’intestino e successivamente il suo rilascio da parte dei macrofagi, cellule coinvolte anche nel funzionamento del sistema immunitario. Nei soggetti sani è solo il fegato a produrla, tuttavia lo studio ha mostrato come nelle persone con psoriasi l’epcidina sia generata anche a livello della pelle, dove è coinvolta in diversi processi quali la guarigione delle ferite, la produzione di collagene e la funzione immunitaria a livello cutaneo.
È noto che un’eccessiva quantità di ferro nella pelle può essere pericolosa: esacerba gli effetti dannosi dei raggi Uv sulla cute e può causare malattie infiammatorie iperproliferative come appunto la psoriasi. Ricordiamo infatti che questa patologia cronica, mediata dal sistema immunitario, ha un’origine multifattoriale e si fonda su una forte predisposizione genetica caratterizzata da un’eccessiva proliferazione dei cheratinociti, cioè la tipologia di cellule più abbondanti nell’epidermide.
Proprio in questo processo di iperproliferazione è coinvolta l’epcidina prodotta a livello cutaneo: dallo studio, condotto su modello animale, è stato dimostrato infatti che l’esposizione ad elevati livelli di epcidina cutanea porta allo sviluppo della psoriasi. La ragione sta nel fatto che tale sovrabbondanza spinge la pelle degli animali a trattenere troppo ferro con conseguenze moltiplicazione fuori controllo dei cheratinociti, da un lato, e producendo infiammazione a livello degli strati superficiali, dall’altro. Non a caso i livelli di interleuchina-6, un indicatore di attivazione infiammatoria nella psoriasi, sono correlati proprio con quelli di epcidina. Come spiegano gli studiosi nelle loro conclusioni, i dati raccolti suggeriscono pertanto che l’epcidina potrebbe diventare in futuro un bersaglio terapeutico, in aggiunta alle terapie attuali, per il trattamento della psoriasi e per il mantenimento delle fasi di remissione.
Le relazioni tra psoriasi e ferro, del resto, sono molte e complesse. Se è vero che un suo eccesso a livello della pelle può danneggiarla e favorire l’insorgenza di questa e altre malattie cutanee, è altrettanto vero che nei pazienti affetti da patologie autoinfiammatorie come questa se ne rilevano livelli ematici ridotti: la carenza di ferro nel sangue tende peraltro a peggiorare i quadri clinici dei pazienti dal momento che essa agisce negativamente sulla funzione delle cellule immunitarie, contribuendo alla progressione di malattia. La psoriasi in particolare è associata a livelli di ferro alterato, in modo particolare nei pazienti con un basso indice di massa corporea.
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